Sierre – Zinal 2018

 

 

Ai 2000m di Sestriere il tempo scorre con la giusta cadenza per ripensare un momento a cosa è stata e come ho vissuto la Sierre-Zinal 2018, una delle gare che ho scelto di preparare sul serio in questa stagione di #mountainrunning.

 

 

Sulle pendenze che dalle rive del Rodano raggiungono i traversi della Val d’Anniviers si è scritta un’altra pagina importante di questa classica, con la sensazione di averne in parte contribuito, insieme al cast impressionante di élites da tutto il mondo. Sono gli atleti a costruire la gara, a renderla interessante e mitica al di là dei paesaggi o del contesto in cui si corre: è questo il valore aggiunto di una competizione di alto livello.

Il field assemblato da Valentin Genoud per quest’anno era senz’altro tra i migliori di sempre, le aspettative elevate e la tensione palpabile, nel più classico punto di contatto tra corsa in montagna, trail e skyrunning, ma anche strada e pista, per la variabilità di superfici e caratteristiche tecniche della gara. Dieci nazionalità rappresentate nei primi 20 classificati maschili e ben 9 nelle prime 10 femminili danno un’idea della varietà presente al via.

 

 

Una delle caratteristiche di questa gara è la comunità che si crea per qualche giorno a Zinal, durante le corsette pre-gara, il classico pranzo del sabato a Sorebois o le colazioni in palestra, accanto alle fotografie un po’ sbiadite dei campioni che si sono alternati nel mitico albo d’oro. Capita così di scambiare qualche opinione con Joe Gray o Jakob Adkin, di osservare i vestiti super tecnici di Ida Nilsson, il taglio di Max King, gli sguardi nascosti di Lucy Murigi, il parlare fitto del Colombiani.

 

 

Breakfast in Zinal

 

La mattina della gara scendiamo a Sierre con l’autobus di linea, ognuno immerso nei suoi pensieri e rituali, cappello calato sugli occhi, cuffie nelle orecchie, pantaloni fruscianti in lightweight ripstop. Al countdown dello speaker partiamo da quell’insignificante ma leggendario svincolo autostradale, delimitato dalla solita rete rossa da cantiere, come a voler trasmettere una sensazione di transitoria provvisorietà. It doesn’t need to be good-looking, it needs to be fast.

La partenza è veloce il giusto, decontratta, immediata come la svolta verso sinistra sul singletrack che porta a Niouc, che imbocco in testa. Penso che per un attimo ho dietro un paio di migliaia di persone, e sto tirando il gruppo alla Sierre-Zinal.

 

 

 

Come sempre la chiave è risparmiare al massimo le energie, non sbagliare un solo appoggio del piede, non andare oltre ciò che si percepisce come “facile”, finchè dura… Si forma quasi subito un gruppetto di sette, io insieme a Kilian Jornet, Joe Gray, Davide Magnini, Robbie Simpson, Juan Carlos Carera e Geoffrey Kirui. Ognuno corre in maniera leggermente diversa, ancora una volta è lo stile a fare la differenza.

Kilian è concentrato, nei primi 45’ non fa mai capolino davanti dove i più attivi siamo io, Davide e Joe. So di giocarmi qui buona parte delle mie possibilità, sulla ripida salita verso Ponchette: 50’ e spiccioli per 1320m di dislivello. Robbie si tiene a qualche metro di distanza, il respiro pare affannoso ma la cadenza è in controllo; poi, appena il sentiero spiana affonda il coltello, allunga in maniera tagliente, spietata, spezzando inesorabilmente gli equilibri della gara. Da Ponchette a Chandolin cambia lo scenario, Kilian e Robbie paiono volare, Joe Gray, Kirui e Carera resistono con i denti, io perdo una ventina di secondi ma rimango a contatto visivo con il gruppo, mentre Davide è più attardato. Sarà un lungo inseguimento fino all’Hotel Weisshorn, tante volte spartiacque della gara, più che mai in questa edizione.

 

 

Non riesco a correre come vorrei in questo segmento, il più veloce del percorso. E’ questo l’unico vero rimpianto di una gara al limite, troppo al limite, in cui forse pago la preparazione necessariamente un po’ corta. Cerco di far leva sull’esperienza, guadagno secondi sugli atleti davanti, mentre Robbie e Kilian volano oltre a ritmi per me impossibili. Raggiungo e passo in sequenza Gray e Kirui; con Carera è leggermente più complicato ma nel raggio di un paio di km riesco ad aver ragione anche di quest’ultimo. Sono virtualmente sul podio ma ho le energie al lumicino, a malapena sufficienti per arrivare a Zinal, che osservo adagiato sul fondovalle.

Poi capita in un attimo, un battito, il tempo di un salto: Robert Surum mi raggiunge da dietro, in discesa; rimango con lui con la forza della disperazione un minuto, forse due, e alla fine mi lascia ad ampie, agilissime falcate: arriverà terzo, a soli 7’’ da Simpson, in un siderale 2h33’.

 

Timing is everything

 

Percepisco in qualche modo che Kilian ha vinto il suo sesto titolo a Zinal, nonostante sia piuttosto distante nel momento in cui taglia il traguardo. Io giungo 4’14’’ dopo, troppi nel confronto diretto con il fenomeno, The chosen one. Penso che devo assolutamente fare qualcosa per ridurre il distacco, azzerarlo e renderlo a mio favore. Sono distrutto, svuotato come poche volte e mi sdraio per indefiniti minuti liberatori sull’asfalto.

 

 

La gara perfetta non è arrivata, è arrivata un’ottima prestazione che mi rende felice del lavoro fatto e che in quel preciso giorno era il massimo che potessi dare. L’impresa non è sempre possibile. Ho corso in 2h35’ che rappresenta un buon tempo a Zinal, ma posso fare meglio; le occasioni sono limitate ma le inseguirò. Il mio sogno è correre la Sierre-Zinal a una media inferiore ai 5’ al km; quest’anno mi sono fermato a 5’01/km. Kilian ha corso a 4’53’’/km.

 

 

Sierre-Zinal 2018 è stato anche tanto altro, queste righe sono state semplicemente il gioco di descrivere la gara da un punto di vista interno e personale. E’ stato ad esempio l’health program “QUARTZ”, i due prelievi di sangue e urine del sabato su cui ci sarebbero da fare parecchie considerazioni in opportuna sede, il punto di incontro tra Golden Trail Series e WMRA World Cup, il discorso di Greg Vollet durante la conferenza stampa. Rispetto al 2016 ho percepito un salto di qualità dell’ambiente e l’intenzione di fare le cose ancora più in grande, soprattutto sotto la spinta mediatica di Salomon e dei promoters di Golden Trail Series.

 

Il podio che avrei voluto

 

Penso che il confronto tra i migliori abbia entusiasmato come poche volte, perché nessun’altra gara nel circuito ha obiettivamente un livello paragonabile. Questo fa crescere il nostro sport e mi dà un motivo concreto per impegnarmi e migliorare, cioè correre sempre più veloce, con il vantaggio di un’enorme esperienza in più.

 

photos: Justin Britton for Corsainmontagna, Alberto Stretti, Alex Scolari, Martina Valmassoi, myself

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