Cadenze

Follow-up sul tema che avevo lanciato sul mio profilo instagram @fra_puppinho stamattina:

 

Context:

Leggendo larticolo su Outside Magazine che rivela i dati relativi al progetto Breaking2 di Nike (2017) e il post “Alto una falcata” sul blog di Orlando Pizzolato, che si stupiva di come al ritmo maratona la lunghezza della falcata di Eliud Kipchoge sia pari alla sua altezza (e altre considerazioni super interessanti), ho voluto fare un semplice confronto raccogliendo i dati di frequenza e ampiezza relativi a 4 gare da me corse durante questa stagione.

 

 

I dati:

Gara risultato pace (min/km) cadenza (spm) lunghezza falcata (m)
Magenta 10k – strada (02/02/20) 29’47 2’58”7 201 1.68
Verona Half Marathon – strada (16/02/20) 1h04’41 3’03”9 198 1.66
5000m pista – Concesio (23/07/20) 14’34 2’54”9 198 1.75
10000m pista – Campionati italiani a Vittorio Veneto
(28/09/20)
29’52 2’59”2 200 1.69

Cosa risulta?

Il mio amico e post doc in Sport Science Luca Filipas ha fatto una osservazione interessante, ovvero che sarebbe più opportuno valutare la lunghezza del passo in rapporto alla lunghezza degli arti inferiori, non tanto all’altezza.

Iacopo Brasi, che recentemente ha aperto la Home of Champions Academy, studio di valutazione funzionale e performance sportiva, mi ha scritto che sarebbe interessante valutare i dati relativi al mean ground contact time, cioè i tempi di contatto a terra. Purtroppo il mio Garmin Forerunner 235 non dispone di questi dati.

Coach Tito mi ha invece risposto via email in maniera più estesa (grazie!). Ecco le sue considerazioni, così che possano essere utili a tutti.

 
From: Tito F. Tiberti
To: Francesco Puppi

In linea di massima e con linguaggio da campo (non da articolo scientifico o relazione di un fisiologo e/o biomeccanico) farei le seguenti considerazioni:

  • La lunghezza del passo stimata col GPS non è molto attendibile, si dovrebbe valutare in altro momento, su una pista e a ritmi di percorrenza “utili” per la lettura dell’andamento della/e gara/e desiderata/e, direi principalmente intorno ai valori di soglia aerobica, anaerobica e velocità aerobica massima.
  • Detto questo non porrei eccessiva enfasi sulla lunghezza del passo in sé, valuterei piuttosto altri elementi su cui lavorare efficacemente, tempi di contatto a terra in primis.
  • La cadenza misurata dall’accelerometro del garmin (o di qualsiasi strumento da polso “evoluto”) è dato attendibile ed è interessante considerarla a mio avviso per i seguenti aspetti:
    1. l’aspetto della valutazione “in corsa”, partendo dall’assunto che lo scadimento delle frequenze nel tempo di esercizio (prolungato) è indicativo di un deterioramento della capacità di esprimere la performance. In un tempo di esercizio prolungato (correndo):
      • si registra una deriva cardiaca per cui a pari passo, pari sforzo percepito e pari efficacia meccanica percepita comunque le frequenze cardiache aumentano durante, per esempio, le fasi avanzate di una maratona;
      • la risposta elastica tende a scadere; insorge una forma di stanchezza muscolare e, anche a questo proposito, emerge quanto allenare la forza a supporto del gesto di corsa possa essere una determinante della riduzione del costo energetico;
      • la capacità di mantenere la stessa cadenza di corsa (magari anche con lunghezza del passo differente) a pari impegno (percepito/applicato) invece sembra [intuizioni da campo di alcuni tecnici, che però non ho riscontrato in letteratura] non scadere finché l’atleta riesce a mantenere piena concentrazione su passo e gesto meccanico, che indirettamente può voler dire “finché non tendono ad esaurirsi i substrati energetici” (o non si verificano alterazioni degli equilibri idroelettrolitici/ematochimici, ma a quel punto inutile domandarsi che fare delle frequenze, il problema diventa “restare in piedi”…). 
    2. l’aspetto analitico, considerando che un’analisi delle cadenze diventa interessante in senso longitudinale, durante il tempo di esercizio a impegno costante: se è sostanzialmente stabile segno di inalterata efficienza organica; se aumenta leggermente è altrettanto un buon segno (è, per esempio, efficace coping strategy rispetto alla problematica della minore elasticità per mantenere la stessa pacing strategy); se diminuisce invece si finisce per pensare a una deplezione dei substrati energetici e si corre ai ripari (augurandosi che non sia tardi).
    3. l’aspetto analitico, stavolta nel senso di un’analisi trasversale (stessa tipologia di gara, es. 10’000m, a distanza di un anno, due anni, etc…), è parimenti interessante a mo’ di valutazione comparativa, per disegnare lo “macchina-atleta” unitamente ad altri elementi alla base delle prestazioni di un atleta, in un quadro di crescita o decrescita o stallo o cambiamento di altro segno (per esempio modifiche dello schema motorio in conseguenza di un infortunio) .
  • In generale si può porre attenzione soprattutto sul rapporto ampiezza/frequenza, anche per tradurre in esercitazioni da campo utili le esigenze riscontrate “sulla carta”.
  • Dal punto di vista neuromuscolare è più agevole lavorare per modificare (=accrescere) le frequenze e (=diminuire) i tempi di contatto che non per modificare l’ampiezza del passo o i range of motion articolari (specialmente in età adulta, tenderei a dire).
  • Marginal gain sono possibili anche su elasticità e range of motion, ma sono tendenzialmente piccoli e si ritiene si possano perseguire efficacemente sotto il controllo costante di professionisti competenti su postura e biomeccanica del gesto (non solo di corsa, ma di esercizio relativo alle capacità condizionali di flessibilità ed elasticità).


Nel tuo caso specifico aggiungerei che:

  • le tue frequenze sono alte e comparabili a quelle degli standard di atleti di alta qualificazione (per cui non sono un punto debole della tua “macchina da corsa”);
  • la lunghezza del passo è anche funzione di caratteristiche antropometriche diverse dalla semplice altezza, per cui forse non è davvero interessante il rapporto altezza-ampiezza del passo;
  • altri aspetti visibili/misurabili della meccanica del passo sono le oscillazioni verticali del baricentro, il movimento delle anche sul piano sagittale e laterale, più in generale la direzione del vettore di movimento in fase di spinta;
  • il tema di elasticità/stiffness sembra largamente predeterminato, lì ci sono vincoli più rigidi (non poniamo limiti, ma qualche muretto più difficile da scavalcare c’è;
  • cosa si può fare?
    • migliorare la risposta neuromuscolare (per esempio, in piccolo, il lavoro con la corda da saltare introdotto quest’anno),
    • aumentare la forza applicabile (in relazione alle ground reaction forces, alla fase di frenata connaturata ad ogni appoggio, allo sviluppo della forza reattiva, al miglioramento della coordinazione intramuscolare e del turnover delle fibre),
    • lavorare ad abbreviare i tempi di contatto al terreno di ciascun passo (ancora: risposta neuromuscolare, forza reattiva, transizione meccanica braking-propulsion),
    • cercare di non infortunarsi facendo quanto elencato!

Scusa se attacco il pippone anch’io, ma mi sentivo intitolato a rispondere alla tua curiosità instagrammiana (si dice così?) ed anche abbastanza in grado di farlo,

Cia’

 

Sono contento di avere stimolato una discussione positiva; spesso mi interesso ai dati relativi alla dinamica di corsa e mi piace leggere gli studi di fisiologia relativi alle performance di atleti di alto livello. Anche se non sono un esperto, cerco sempre di capire di più anche per migliorare il mio allenamento.

 

Cosa ne pensate?

Se volete aggiungere considerazioni o mandarmi link relativi ad altri studi o articoli, vi ringrazio in anticipo.

 
 
 

 

Photos: Francesca Grana e Alice Russolo

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