4 febbraio 2024, domenica
E’ il 4 febbraio, domenica mattina, il giorno dopo gli Olympic Trials di maratona che si sono corsi a Orlando, Florida, negli Stati Uniti. Sarei dovuto essere a Bergamo per una 10km su strada, ma qualche linea di febbre, tosse e mal di gola mi hanno fatto propendere per stare a casa. Fuori c’è il sole, le temperature sono primaverili; io sono sul divano, copertina e pigiama. Apro il mac per scrivere qualche riga accompagnato da una tazza di cioccolata calda, quel genere di comfort food di cui ogni tanto ho bisogno.
Una volta mi sarei sentito in colpa, una specie di fallito, per non aver avuto la forza di gareggiare nonostante la febbre, cosa vuoi che sia un pochino di influenza. In fondo se vuoi, puoi – una delle prime lezioni che ci vengono inculcate dal mondo dello sport, fin da bambini, ancor prima di imparare ad ascoltare noi stessi. Adesso so che sentirmi in colpa non serve a molto, non devo dimostrare niente a nessuno, non ho alcun impegno con questa gara nè devo rendere conto a qualcuno, e sono perfettamente sereno qui dove sono, sul divano. Certo, sarebbe stato bello provarci e di occasioni per correre un PB su strada ne ho pochissime durante l’anno, ma guardo alla bigger picture. Ci saranno altre occasioni, ci sono altre gare là fuori che mi aspettano, altri obiettivi più importanti nei prossimi mesi. Voglio riprendermi al più presto per tornare ad allenarmi, anche perchè, crescendo, sono diventato sempre più consapevole di come da atleta potrei vivere senza gareggiare, ma non potrei vivere senza allenarmi.
E’ un bel periodo, mi sto allenando con soddisfazione, mi sto godendo il processo – frase che non renderà mai la stessa idea di “I’m enjoying the process” – e non ho bisogno di alcun tipo di validazione che le cose stiano andando nel verso giusto, se non la mia. Il potere di far dipendere il giudizio su noi stessi da noi o dagli altri è un tema complesso, molto interessante, che ho provato a esplorare e comprendere con maggior dettaglio ultimamente.
Ascoltare noi stessi è difficile. Spesso ci viene detto ”devi fare ciò che ti fa stare bene”, “devi imparare ad ascoltarti”, ma non ci viene spiegato come, non ci vengono dati gli strumenti per farlo. Sono tutte cose per cui non siamo davvero formati, che nessuno ci insegna a scuola, almeno nella mia esperienza, come, che ne so, capire come funziona la politica, come gestire i soldi, come ci si deve informare, come imparare a riconoscere le emozioni e dare loro un nome. Imparare ad ascoltarci, appunto.
Doveva essere un’introduzione sugli Olympic Trials di maratona, ma ho divagato.
Ieri, appunto, si è corsa una delle gare che più cattura la mia attenzione e quella di una certa parte di pubblico della corsa di lunga distanza. Non è l’evento più importante, non è certo quello di più alto livello: esistono decine e decine di competizioni con una start list ben più impressionante; è anche una gara piuttosto distante da noi dal punto di vista geografico e culturale. Perchè non seguo con lo stesso interesse altre gare di trail, che poi è la mia specialità principale, oppure i campionati italiani di maratona, o l’atletica italiana su pista, che sta pure attraversando un momento di straordinaria vivacità – sono proprio di ieri pomeriggio altri due record italiani nel mezzofondo, quello dei 1500m ad opera di Ossama Meslek, e dei 3000m con uno storico 7:38:42 di Pietro Arese. Nemmeno le olimpiadi di maratona, per assurdo, suscitano in me lo stesso interesse dei trials per selezionare la squadra americana. La formula dei trials è molto semplice: se arrivi nei primi tre al traguardo sei dentro, altrimenti sei fuori. Non ci sono scuse, infortuni, mal di pancia, giornate no o wild card che tengano: è il bello e il brutto dei trials.
Sono due i motivi principali per cui credo che questa gara riesca ad attrarre tanto interesse, non solo mio, ma delle tante persone che li seguono, di quelli che mi hanno scritto per chiedermi se avessi un link per il live streaming, di chi come me ha seguito tutto il live di Citius Magazine su YouTube, con quattro invasati di corsa che commentavano ogni splits e bottiglia lasciata cadere ai rifornimenti, senza vedere una sola immagine di quello che stava succedendo.
Uno ha a che fare con l’identificazione, con il fatto che ognuno di noi può facilmente immedesimarsi in uno dei partecipanti ai trials, soprattutto forse in uno degli amateurs che ha inseguito il sogno di partecipare a uno degli eventi più affascinanti e ambiti della corsa di lunga distanza: sono infermieri, insegnanti, fisioterapisti, ingegneri, studenti e dottorandi, e ognuno di loro è la prova vivente che anche noi potremmo essere in grado di realizzare le nostre più grandi ambizioni – cosa che, mi rendo conto, è un po’ il contrario di ciò che cercavo di esprimere prima. Ci sono storie estremamente umane, estremamente vicine alla nostra realtà dietro ognuno di loro.
L’altro è la narrazione che viene fatta di questa gara: abbiamo un innato bisogno di storie e i racconti che nascono attorno a questo evento sono tra i più belli e coinvolgenti di tutta l’atletica. I media che la seguono fanno un lavoro straordinario nel raccontarla e nel portarci dentro ai suoi sviluppi, ai sogni realizzati e a quelli infranti, alle mosse, ai rischi, agli errori, alle dichiarazioni e alle possibilità dei suoi principali protagonisti. Media come Citius Magazine, Fastwomen, Letsrun, Flotrack, brand come Bandit e Tracksmith che organizzano support programs dedicati ai sub elite e ne seguono la preparazione e la gara, fotografi come @ai.shots, Cortney White, Justin Britton, @jzsnapz, squadre e gruppi di allenamento come Team Boss, Roots Running, Bowerman, Minnesota Distance Elite, Run Elite Program, debuttanti come Jenny Simpson, Fiona O’Keeffe, Natosha Rogers e Paul Chelimo atleti esperti al loro quinto o sesto Olympic Trial come Des Linden, Sarah Hall, Abdi Abdiraman e Galen Rupp, a cui a volte è andata bene e altre volte male, atleti che segui da mesi su Instagram e su Strava, di cui magari sai poco o niente se non qualche istantanea da come si allenano e con chi, come Simbarunner, Zach Panning, Clayton Young.
Bottom line: siate più gentili con voi stessi, molto probabilmente ciò che state facendo va già più che bene. Anche se come me siete sul divano, per mezza giornata in un anno.