World Mountain Running Championship – Patagonia

 

Ho deciso che avrei corso i mondiali di corsa in montagna 2019 dopo aver appreso che ci sarebbe stato Jim Walmsley. Rita potrebbe confermarlo. Eravamo seduti al Red Point Cafè di Colorado Springs davanti a uno smoothie, insieme a Joe Gray e Peter Maksimow, un paio di giorni dopo Pikes Peak Marathon, in un rovente pomeriggio di fine agosto. Joe disse che gli USA avrebbero presentato una squadra molto competitiva in Patagonia. Ho azzardato il nome di Hayden Hawks, dopo poco è uscito quello di Walmsley. Lì si è accesa la luce.

 

 

Non ero convinto di correre in Patagonia, non è un segreto. Come già accaduto in Portogallo per i mondiali di trail lo scorso giugno, non volevo semplicemente partecipare. Il fatto di sapere che Jim sarebbe stato lì mi ha aperto la strada per l’Argentina. Anche se non ho prestato particolare attenzione alla cosa durante i mesi di avvicinamento, banalmente perchè ero molto più impegnato a occuparmi dei contrattempi e dei normali problemi di una preparazione, una parte della mia mente era concentrata sull’obiettivo. Ho corso per dimostrare a me stesso che avrei potuto correre forte di nuovo e soprattutto per il fascino di quella sfida che volevo a tutti i costi affrontare.

 

 

Ricordo di aver discusso con Tito, il quale un pomeriggio mi aveva spiegato che la parte alta del percorso argentino sarebbe stata innevata. Non avevo ancora letto notizie o descrizioni, neppure dato un’occhiata all’altimetria della gara. Gli ho risposto che quello poteva essere un potenziale problema perchè in quel tratto avrei potuto perdere il vantaggio accumulato in salita, non essendo abituato a correre sulla neve. “Già il fatto che in quel momento ipotizzi di essere davanti è un segnale…”. Non è andata esattamente così. Mi sono perfino adattato a correre sulla neve resa compatta dalla pioggia e dal vento. Ma il vantaggio su Jim l’ho avuto davvero, per alcuni minuti mi sono trovato in testa alla gara, nella parte più alta del percorso.

 

 

Vorrei andare con ordine a questo punto, e condensare qui alcuni momenti di agonismo puro, intensità atletica, uno stroke di energia al termine di una stagione particolare.

 

La preside del mio liceo mi ha permesso di partire per la Patagonia con sufficiente anticipo rispetto alla gara per godermi il piccolo training camp organizzato appositamente dai team manager del team Italia Tito e Paolo. Ho avuto l’occasione di provare alcune parti del percorso e soprattutto recuperare ispirazione e capacità fisiche. E’ stato fondamentale poter riposare con lo stesso impegno che metto negli allenamenti, ma questa volta avendo tutto tempo a disposizione per farlo, almeno per una decina di giorni. Smaltito senza eccessiva fatica il viaggio e qualche contrattempo, mantenendo un buon numero di km percorsi grazie alla double run lungo l’autostrada verso l’aeroporto Ezeiza di Buenos Aires e la prima esplorazione del gravel attorno a Villa la Angostura, dopo tre giorni in Argentina ho infilato un ultimo fartlek insieme a Cesare e agli altri ragazzi. 12km a 3’11” quasi a tradimento e con ottime sensazioni. Non avevo bisogno di altre risposte, le avevo già dalla solidità della mia preparazione. Ho pensato che avrei potuto provare a fare una selezione precoce nella gara. Non volevo che qualcun altro ci seguisse: desideravo che fosse una cosa tra me e Jim e basta. Ho detto ai miei compagni “vorrei che rimanessimo in pochi sulla prima salita”.

 

 

E così è andata. Prima della partenza ho radunato le ultime energie e preparato il corpo all’intensità dello sforzo estremo. Sapevo che Jim sarebbe partito abbastanza forte: non c’è stato tempo di pensare troppo a lungo se seguirlo o meno. Pronti via e dopo quattrocento metri la sua ampia falcata ha solcato la Route 40 attraverso Villa La Angostura, io e Hayden Hawks subito dietro. Dopo 2km, prima di addentrarci nella foresta, sono rimasto io.

 

 

Sulla prima salita Jim mi ha detto semplicemente di avvisarlo se avessi voluto passargli avanti. Non è stato necessario. Scappava via agile non appena la pendenza si addolciva, ed io riuscivo sempre a rispondergli sebbene con un certo impegno. Era efficiente nei tratti più duri. La sua eleganza mi affascinava, avrei voluto correre come lui.

 

 

Sulla prima discesa ho accumulato una ventina di secondi di svantaggio. Mi sono chiesto se sarei riuscito a rimanere in gara e mi sono autoconvinto che in qualche modo avrei tenuto duro. Il ritmo era troppo elevato ma non potevo rallentare. Ho incontrato Tito nella foresta e gli ho bisbigliato, fuori dai denti, che ero troppo tirato.

La gara stava assumendo la fisionomia che avevo in mente, eravamo ormai io e l’americano dall’Arizona. Abbiamo corso i successivi 14km furiosamente, scavando circa cinque minuti di distacco tra noi e gli immediati inseguitori: Albon, Hawks, Oriol Cardona. I secondi tra me e Jim invece non sono sostanzialmente mutati, rimanendo in un intervallo tra i 15 e i 30. Su uno switchback del sentiero gli ho lanciato un’occhiata mostrandogli il pollice, lui ha replicato e si è calato gli Oakley neri sul viso. Una delle immagini della gara che più mi è rimasta nel cuore.

 

 

Mi sono spremuto in bocca un GU al salted caramel che non vedevo l’ora di assaggiare. Mi affascina pensare quel gel che avevo comperato la scorsa estate in Colorado, alla Boulder Running Company, sia servito ai miei mitocondri per ossidare le lunghe catene di atomi di carbonio in esso contenute e fornire ai muscoli l’energia per produrre qualche migliaio di contrazioni muscolari. In Patagonia, il 16 novembre 2019. Di tutti gli atomi di carbonio esistenti nell’universo, esattamente quelli.

 

 

Sulla salita verso il Cerro Bayo ho pazientemente eroso, secondo dopo secondo, il distacco dal leader della gara. L’ho raggiunto poco prima del tratto innevato, a circa un km dalla vetta: dopo oltre due ore di corsa eravamo di nuovo insieme. Ho avuto il mio breve momento di gloria passando in testa nel punto più alto del percorso, il respiro tagliato dal vento gelido, l’agitarsi convulso delle braccia.

 

 

Forse non ho abbastanza talento per vincere una gara. Serve quella freddezza implacabile che non sento di possedere per estinguere le possibilità dell’avversario e tagliare il maledetto nastro. Ci ho riflettuto un momento; in quegli istanti non ho pensato di aver già fatto abbastanza, non mi sono sentito appagato per essere arrivato fin lì.

 

Ho perso 30” nei primi 500m di discesa, ho incrociato Tito e Paolo e ho detto loro che non sapevo se sarei riuscito a raggiungere di nuovo Walmsley. Mi hanno visto in evidente difficoltà e si sono preoccupati; nonostante ciò ero sicuro di poter gestire lo sforzo per altri 40′, almeno fino all’arrivo. Ho recuperato la capacità di corsa e mi sono lanciato all’inseguimento. L’obiettivo più immediato durante la discesa è diventato correre un km sotto i 3′. Voglio sempre correre sotto i 3′ al km, rappresenta una soglia metaforica, importante.

Purtroppo mi sono fermato a 3’03”, sulla discesa verso El Condor Pasa.

 

 

Una volta raggiunta la strada ero determinato a soffrire: è stato semplice, prima della gara sapevo che sarebbe arrivato un momento in cui la fatica sarebbe diventata quasi insopportabile, il dolore avrebbe invaso le mie fibre. Bisogna accoglierlo e circoscriverlo, dargli una dimensione e una forma.

 

Ho riattraversato Villa la Angostura fino al traguardo, ho teso le braccia lungo il corpo e mi sono abbandonato a quella stessa terra da dove ero partito.

 

 

Ehi Jim. You’re fucking good. Hai vinto tu.

 

Grazie.

 

 

Ci sarà spazio per un approfondimento più tecnico che penso meriti di essere affrontato. Per ora, un paio di risorse:

 

 

>> Strava Activity World Mountain Running Championship 2019

 

>> Jim Walmsley’s track

 

>> My training log #RumboAlMundialK42

 

Photos: Marco Gulberti, K42 Eventos, Trail Peru, Andy Wacker, Tito Tiberti, Fabio Colombi, Francesco Puppi

 

#mountainrunning #anysurfaceavailable #athletesunfiltered #patagonia #higherthanair #onedream

2 Comments

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Wild Teereply
04/12/2019 at 21:02

Bravissimo Fra, un capolavoro di gara!

Skolareply
05/12/2019 at 06:57

Mi piacerebbe entrare più in profondità nel momento dell’inizio della discesa , nel fermare quel fotogramma e capire esattamente cosa eventualmente avresti potuto fare per non perdere quei 30” così velocemente , perché tutto suona troppo come “era impossibile batterlo” ma quello che tu ad un certo punto chiami mancanza di talento potrebbe avere una spiegazione puramente tecnica. Sarebbe stato bello che PETRO fosse stato li con voi.

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